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La risposta di Anna Frank agli idioti antisemiti

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La risposta di Anna Frank agli ultras della Lazio è nelle ultime parole del suo Diario

di Oscar Nicodemo

“Non lo sopporto; quando si occupano di me in questo modo, divento prima impertinente, poi triste e infine rovescio un’altra volta il mio cuore, volgendo in fuori il lato cattivo, in dentro il lato buono, e cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se … non ci fossero altri uomini al mondo”

Sono le ultime parole del “Diario di Anna Frank”, il celebre testo diventato una delle testimonianze più sintomatiche dell’Olocausto.

Se estrapolate dal contesto del brano, come avviene qui, sembrano essere una risposta all‘iniziativa razzista e antisemita messa in atto da alcuni tifosi della Lazio, oltraggiando la memoria della ragazzina tedesca, di cui le cronache hanno appena raccontato. Naturalmente, la migliore delle risposte; quella che, a confronto delle altre, appare intrisa della giustezza necessaria per affrontare l’ignoranza propagata del tifo estremista, banalmente concepito, ignobilmente idealizzato, spaventosamente espresso.

Va da sé che non tutto il tifo raggiunge simili livelli di indecenza e oscurantismo. E non tutti i laziali possono essere catalogati come insensibili di fronte alle tragedie della storia per averne una sana concezione e maturare un’analisi adeguata dei fatti atroci, di cui, spesso, è fatta. Individuare in una quindicenne ebrea, morta in un campo nazista di concentramento, uno strumento essenziale per giungere a disprezzare e insultare la squadra antagonista per eccellenza, nella fattispecie, la Roma, è da considerarsi un atteggiamento mentale di straordinaria meschinità.

È, senza ombra di dubbio, uno di quegli atti che squalificano l’essere umano, fino a ridurlo a una bestia inferiore che attenta al significato stesso della convivenza civile, agendo in barba al comune senso del rispetto, in quanto lo stadio viene concepito come un recinto dove poter dare liberamente il peggio di sé. Lo spettacolo del calcio, in quest’ottica, oltre a fare da sfondo alle manifestazioni estemporanee di una subcultura rituale che va bene al di là della passione per la propria squadra, resta il pretesto per poter assecondare un’indole malvagia e traviata, agendo all’interno di un luogo, lo stadio, appunto, considerato una sorta di zona franca, dove dare sfogo a ogni sorta di bassezza repressa, o maturata in un percorso di regressione e involuzione personale.

Il sentimento della ragione, viene, così, svilito in maniera tanto brutale, che “il mezzo per potere essere”, di cui racconta Anna Frank, nel passo finale del suo diario, diventa per certi tifosi, il comportamento brutale dell’ignoranza elevata a ideologia. Walter Benjamin sosteneva che “la nostra identità è data dal nostro modo di vedere e incontrare il mondo: la nostra capacità o incapacità di capirlo, di amarlo, di affrontarlo e cambiarlo.” E, la maniera di stare al mondo, oggi, non riguarda solo ciò che ruota intorno al calcio, tanto meno può essere concepita facendo leva, unicamente, su un episodio del genere e ridotta a un fenomeno da stadio. Anche nella comunicazione, come in politica, tanto per citare campi importanti e differenti dallo sport, manca lo sforzo, ancorché piccolo, di ascoltare e comprendere l’altro, il diverso, il distante.

Huffington Post


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